Una fatale illusione

I.
Edoardo De Vincenzi era un anziano professore che aveva da un po' di anni passato la sessantina; era un benestante e anche i suoi genitori, morti da molti anni, erano stati professori. Insegnava letteratura all'università di una piccola città italiana del centro-nord, e non gli mancava molto per giungere alla pensione. I suoi giorni trascorrevano uguali e monotoni: la mattina andava al lavoro; il pomeriggio, dopo una fugace lettura del suo quotidiano preferito, se era bel tempo faceva la sua solita passeggiata, magari fermandosi ad un bar, per prendere un caffè e scambiare poche chiacchiere. La sera era dedicata alla lettura e allo studio. Edoardo non si era mai sposato e viveva solo, a parte il suo fedele cane, che comunque era malato e si avviava verso la fase terminale della sua vita. La sua bella casa era sempre pulita, grazie ad una governante di circa cinquant'anni, che si dedicava alle pulizie da ormai un decennio, quando ancora erano vivi i genitori del professore; furono proprio loro a trovarla, e così Edoardo se l'era tenuta buona, vista la sua bravura e la sua discrezione - elemento quest'ultimo, molto considerato dal professore -.
Qualcosa nella vita di Edoardo improvvisamente cambiò, quando, durante un giorno di lezione si accorse che una ragazza lo fissava in modo strano, e gli sorrideva non appena i loro occhi s'incontravano. Lei era una studentessa poco più che maggiorenne, già attraente, con gli occhi chiari ed i cappelli castani. Dal primo giorno in cui notò la ragazza, il professore, quando tornava nella sua dimora, ripensava alla giornata di lavoro, e la sua mente non poteva distogliersi da quella nuova presenza, che sembrava volesse fargli capire qualcosa; lui, da questa situazione strana era spaventato e, nello stesso tempo, lusingato. Spaventato perché non riusciva a capire cosa volesse quella ragazza; se magari quello strano comportamento fosse soltanto un'impressione sbagliata del suo cervello ormai stanco, che era andato fuori fase. Ma se lei lo avesse veramente guardato così intensamente per un altro motivo, sapeva bene che, alla sua età, avrebbe potuto offrirgli ben poco, per non dire nulla, poiché poteva essergli non padre, bensì nonno. Oltretutto, per la sua morale, avere una relazione con una giovinetta era semplicemente aberrante. Però, sotto sotto, era contento di attrarre ancora, in special modo delle ragazze carine come quella studentessa; così, molto spesso si guardava nello specchio, e faceva di tutto per apparire più pulito e curato, ogni volta che doveva recarsi al lavoro. Riguardo alla ragazza, è difficile dire cosa le saltasse in testa; forse rivedeva nell'uomo anziano l'immagine del padre scomparso da pochi anni, o forse era attratta dalla persona istruita, capace di affascinare con i suoi discorsi forbiti ed estremamente interessanti, grazie anche ad una voce calda e pastosa. Ma non era improbabile che quello della ragazza fosse un gioco di seduzione, ovvero che ella volesse far percepire, per divertimento, al povero professore, il suo interessamento verso di lui, per vedere la sua reazione; e nel caso in cui lui avesse reagito come lei si aspettava, certamente lo avrebbe ridicolizzato, fino a fargli perdere la testa.
Un punto a sfavore del professore, era il fatto che non si fosse mai rassegnato alla vita in solitudine. In gioventù aveva avuto delle relazioni amorose, ma erano finite tutte in malo modo; la maggior parte della colpa era di Edoardo, il quale, incapace di amare veramente una donna, si dimostrava sempre troppo freddo e scostante, facendo sì che le possibili partner lo abbandonassero dopo poco tempo. Una donna soltanto fece di tutto per sposarlo, ma evidentemente lui non la ritenne all'altezza, e, unica volta nella sua vita, troncò direttamente la relazione. Sperava ancora d'incontrare una donna che non fosse troppo anziana, ma nemmeno troppo giovane: magari una vedova o una divorziata, possibilmente senza figli, dal carattere docile e ancora abbastanza attraente. Ma probabilmente pretendeva troppo; poi, nella città dove viveva, si può dire che non esistessero donne sole e coi requisiti che lui pretendeva. Quando i suoi amici e i suoi colleghi gli consigliavano di fare qualche viaggio organizzato o d'iscriversi ad un'agenzia matrimoniale o, addirittura, di mettere un annuncio su un giornale, il professore si arrabbiava, rispondendo spesso sgarbatamente a coloro che si erano permessi di entrare nella sua intimità, mettendo bocca su cose che non li riguardavano assolutamente. E in effetti Edoardo non si lamentava con nessuno della sua solitudine, nemmeno s'intrometteva negli affari altrui dando consigli su cose personali. Certo, non poteva considerarsi felice e non decantava la bellezza della vita solitaria, ma non era nemmeno il tipo che sbandierasse o mettesse in piazza i suoi guai e le sue afflizioni.
Col passare dei giorni, la presenza fissa della ragazza in aula mentre lui faceva la sua lezione quotidiana, era divenuta una necessità imprescindibile per l'anziano uomo; nei giorni in cui si accorgeva che era assente, un dolore tutto morale, subdolo e prepotente s'impossessava di lui, e incideva anche sull'esito della lezione; in quei giorni gli studenti lo osservavano perplessi, soprattutto quando non riusciva a trovare le parole giuste, o quando improvvisamente s'interrompeva, riuscendo a fatica a ritrovare il bandolo della matassa. Ma quando c'era lei, tutto filava liscio, e il suo sorriso, i suoi sguardi, il suo volto erano come il sole per Edoardo: lo illuminavano e gli trasmettevano una linfa vitale. La studentessa era divenuta, quindi, necessaria per la sua noiosa vita; era fonte di nuovi entusiasmi e anche di sogni impossibili.

II.
Era un sereno mattino di febbraio, che già annunciava la prossima primavera, quando, come al solito, Edoardo si recò all'università per fare la sua lezione giornaliera, sempre col pensiero di trovare in aula la studentessa che lo amava; sì, ormai per lui non c'erano dubbi: lei lo amava. Erano mesi che la giovane assumeva lo stesso comportamento nei suoi riguardi, quindi Edoardo si era convinto che provasse qualcosa per lui, e già pensava la modo in cui avrebbe potuto rompere il ghiaccio, e parlarle direttamente. Ma quella mattina, in aula, Edoardo vide sì la ragazza, ma in compagnia di un giovane che la teneva sotto braccio. Lui ogni tanto la baciava sulla guancia e lei sorrideva e ricambiava il bacio. Notò anche una differenza nello sguardo della ragazza, che non lo fissava più estasiata e sorridente, ma accennava appena un sorriso, come fosse di circostanza. Quel giorno, il professore s'impappinò, s'interruppe e dimostrò il suo disagio e il suo nervosismo dovuto a quella nuova, imprevedibile situazione. Rispose anche in malo modo ad uno studente che gli fece una domanda semplice e legittima, dicendogli che non amava essere interrotto per stupidi motivi. Edoardo non vedeva l'ora che quella giornata di lavoro terminasse, e non appena avvenne se ne andò corrucciato, senza salutare alcuno. Tornato a casa, cominciò a meditare su quell'avvenimento che lo aveva rattristato e conturbato. Dopo essersi fatto svariate domande sul perché la ragazza si fosse presentata in compagnia del giovane, finì per convincersi che voleva ingelosirlo. Ormai ne era certo: era impossibile un'altra soluzione; lei aveva portato con sé quel giovane perché Edoardo si decidesse a fare un passo, il primo, per farle capire che pure lui la amava. Una volta stabilita questa cosa, il professore iniziò a pensare al modo in cui avrebbe potuto avvicinare la ragazza. Era del parere che non ci fosse molto tempo, che doveva farsi coraggio e passare all'azione nel giro di pochi giorni. Pensò di andare verso di lei alla fine della lezione e chiedergli, con una banale scusa, da quanti anni avesse cominciato ad interessarsi di letteratura e che cosa, nel settore specifico, la attraesse maggiormente. Ma ripensandoci, si sentiva stupido e inadeguato ad assumere queste iniziative, infatti - diceva tra sé e sé - un attempato professore universitario non si dovrebbe mai abbassare a tal punto, soltanto perché affascinato da una studentessa. Insomma, ciò che lo salvava dal fare azioni di tal genere, era il senso del ridicolo e l'orgoglio: elementi basilari per lui, che si portava dietro dai primi anni della sua gioventù, e ai quali mai avrebbe potuto rinunciare. Alla fine, con rammarico, decise di non fare nessun passo, continuando a dare le sue lezioni come se nulla fosse cambiato, e provando a dimenticare quella studentessa che, praticamente, gli stava rovinando la vita. Ma questo proposito, che il professore era certo di mantenere, non durò a lungo.

III.
Era una sera d'inizio marzo, Edoardo aveva appena cenato e si era messo a guardare la TV. Però si sentiva un po' strano: era come se non avesse digerito, come se gli dolesse lo stomaco. Non diede molta importanza a quel malessere, e pensò che fosse dovuto al suo continuo tormentarsi per gli ultimi accadimenti che lo avevano coinvolto e quasi stravolto. No, non ci riusciva a distrarsi: la studentessa entrava di prepotenza nei pensieri del professore, e vi rimaneva troppo tempo, cosicché Edoardo cominciò a pensare ad un'altra soluzione; decise allora di seguirla alla fine della lezione, per sapere dove abitava. Questo particolare poteva venirgli utile, in quanto, organizzandosi, un giorno avrebbe potuto fare una passeggiata fino all'abitazione di residenza della ragazza, e magari incontrarla per caso, avendo quindi la possibilità concreta di fermarla e, con una banale scusa, cominciare a conoscerla meglio. Detto, fatto: il professore, un giorno di prima primavera, subito dopo essersi congedato dai suoi studenti, si sbrigò ad uscire e tenne d'occhio la ragazza. Lei salutò e baciò il suo ragazzo per poi allontanarsi a piedi dalla scuola; Edoardo immediatamente e mantenendo una certa distanza, la seguì. Quando vide che la giovane si era arrestata davanti alla fermata di una linea tranviaria, Edoardo continuò a mantenere le distanze e, da lei non visto, aspettò che giungesse il tram sul quale sarebbe salita la studentessa. Quando giunse il mezzo pubblico, il povero professore dovette fare una corsetta per poterlo prendere, e così gli venne un certo affanno. La ragazza non si accorse della sua presenza nel tram, anche perché era pieno come un uovo, e il professore faticò non poco a farsi spazio per poter vedere dove si fosse situata la sua studentessa; dopo qualche minuto la vide, e, argutamente, continuò  a tenersi piuttosto lontano da lei, pur non perdendola mai di vista. Dopo una decina di fermate la ragazza scese, e allora Edoardo cominciò a spintonare tutti chiedendo ad alta voce che gli facessero spazio perché potesse uscire anche lui, che era rimasto incastrato tra la gente e faticava a muoversi. Fece appena in tempo, poiché l'autista stava già per richiudere lo sportello e ripartire. Una volta sceso si accorse che la ragazza era già piuttosto lontana, e quindi accelerò il passo per poterla avvicinare; in quel momento si rese conto che aveva un gran fiatone e subito dopo che faticava a respirare; allora decise di fermarsi. Qualche passante che vide l'anziano uomo in condizioni critiche, si avvicinò a lui e gli chiese se avesse bisogno di aiuto, ma lui, anche in modo un po' sgarbato, disse che non aveva bisogno di nulla. Il professore impiegò qualche minuto per riprendersi, e quando ricominciò a camminare la studentessa si era già dileguata. Si consolò col fatto che, a rigor di logica, l'abitazione dove viveva non poteva e non doveva essere poi così lontana dalla fermata del tram, e ritornò indietro riproponendosi di tornarci in quel quartiere, che era a lui completamente sconosciuto e che non gli piaceva affatto. In effetti, quella parte della cittadina non era attraente: piena di palazzoni, senza un minimo di spazi verdi e molto trafficata, non poteva piacere al professore, che viveva in uno dei quartieri più belli e si guardava bene di frequentarne altri. Ma, ormai, il pensiero fisso della ragazza lo portava a fare cose che non avrebbe mai fatto in altri momenti; ora il suo scopo era diventato quello d'incontrare la giovane e affascinante studentessa al di fuori dell'istituto scolastico, e quindi, perché ciò avvenisse, avrebbe dovuto per forza tornare in quel luogo squallido, deprimente e caotico. Il resto non contava. Riprese il tram, e trovò un posto a sedere grazie ad un ragazzo che si alzò dal sedile e lo invitò a prenderne il posto. La stanchezza e un certo malessere fecero sì che il professore accettasse quell'invito, ma dentro di sé si sentì come un povero vecchio che fa pena a tutti, e uno stato di abbattimento lo invase. Pensò a quale poteva essere un modo per apparire meno vecchio di quello che era in realtà, e decise, per la prima volta nella sua lunga vita, di tingersi i capelli.

IV.
Due giorni dopo Edoardo si recò da un parrucchiere per uomini, e non dal suo barbiere. Non aveva mai messo piede in quel locale che, pure, era assai vicino alla sua abitazione; per questo si sentì un po' a disagio. Lo fu ancora di più quando, malgrado una cera insicurezza, ebbe il coraggio di chiedere al parrucchiere - un uomo di circa quarant'anni, un po' affettato nei modi e comunque gentilissimo - una tinta per i suoi capelli ormai totalmente bianchi. Quando, finito il trattamento, l'acconciatore porse uno specchio al professore affinché potesse constatare in modo completo il suo nuovo aspetto, lui quasi non si riconobbe, ma rimase certamente soddisfatto del suo cambiamento, e poi era quasi convinto che la ragazza, ora, avrebbe avuto ben ragione d'innamorarsi di lui.
Quando, il giorno successivo, il professore si presentò all'università per fare la sua solita lezione, non tardò ad accorgersi che gli studenti lo fissavano con grande stupore; fu particolarmente infastidito da certe risatine, soprattutto femminili, che non riusciva a comprendere e le spiegò col fatto che codeste ragazzine avevano un cervello piccolo piccolo. Quel giorno la sua lezione non fu impeccabile, perché tutti quegli sguardi e quelle espressioni un po' sardoniche nei volti degli studenti che stavano davanti a lui non gli fecero certo piacere e lo portarono più di una volta ad incepparsi o a perdersi. Ma la ragazza - la sua ragazza - quel giorno non cambiò il modo di guardarlo, e questo fatto ad Edoardo piacque: per lo meno lei non mostrava di andare dietro quel branco d'imbecilli, ed aveva compreso - secondo il suo personale modo di ragionare - che il professore aveva preso la decisione giusta, e con quella nera capigliatura, che gli donava, dimostrava circa dieci anni di meno. In verità la ragazza pensava tutt'altro, e non si mise a ridacchiare soltanto perché possedeva un senso di rispetto nei confronti delle persone titolate ed anziane, che non gli avrebbe mai permesso di ridicolizzarle; stessa cosa dicasi per il fidanzato, che quel giorno era accanto a lei, e non assunse mai alcuna posa o alcuno sguardo irriverente nei confronti del professore. Finalmente quella mattina passò, e il professore tornò a casa pensando alle prossime mosse che doveva fare. Non avrebbe certo tardato a ritornare nel quartiere della ragazza, col preciso intento d'incontrarla o, se non ci fosse riuscito, di sapere almeno dove si trovava la sua abitazione.

V.
Fu in un pomeriggio di metà aprile che Edoardo ritornò nel quartiere della ragazza, convinto che questa volta l'avrebbe vista. Era una giornata tipicamente primaverile, col sole che dominava incontrastato il cielo, e una temperatura gradevole: né fredda e né calda; una giornata ideale, insomma, per fare una bella passeggiata. E allora il professore quel pomeriggio si vestì a puntino e uscì, si diresse verso la fermata, prese il tram e quindi scese esattamente dove era scesa la ragazza la volta precedente in cui aveva visitato quel quartiere. Ritrovatosi lì, Edoardo pensò di nuovo alla bruttezza di quel luogo, e che avrebbe volentieri fatto a meno di venirci, se non fosse stato che la sua studentessa, quasi sicuramente viveva lì, e lui doveva incontrarla. Per quell'occasione Edoardo si era messo il vestito delle grandi occasioni: un completo grigio che indossava assai raramente, e che gli donava in modo particolare, sì da farlo apparire di un'eleganza straordinaria. Certo, in quel contesto la sua immagine stonava, poiché si trattava di un quartiere popolare, e la gente che frequentava quel posto era tutt'altro che elegante; tant'è che, al suo passaggio, tutti si voltavano rimanendo quasi basiti per l'aspetto del professore, e si chiedevano chi mai fosse e che mai ci facesse un tale signore in un luogo così. Ma Edoardo nemmeno si accorse di tutto ciò, tanto era immerso nella ricerca della ragazza, che non riusciva a vedere in nessuna strada, in nessun angolo di via. Dopo aver camminato per più di un'ora, stanco, decise di fare una sosta ad un bar, e di rifocillarsi. Però, bevendo il suo caffè, continuava a guardare oltre la vetrina del locale, cercando di riconoscere la studentessa che stava procurandogli, ormai, soltanto grattacapi. Uscito dal bar, ricominciò a camminare, ma non per molto; si sentì veramente affaticato, e dovette rassegnarsi. Si diresse quindi di nuovo alla fermata del tram per ritornare a casa. Seduto, all'interno del mezzo pubblico, il professore meditava sulla sua prossima mossa: sarebbe ritornato ben presto nel quartiere, e finalmente avrebbe trovato la ragazza, era solo questione di tempo. Quella sera stessa, Edoardo, subito dopo aver cenato fu di nuovo infastidito da un insistente dolore la petto, al quale, ancora una volta non diede la giusta importanza, ritenendo come la solito che fosse dovuto alla digestione faticosa. Quella notte cadde in un sonno profondo, e sognò la ragazza. Lui si trovava all'interno del quartiere che aveva visitato nel pomeriggio, quando, ad un tratto, si avvide che la ragazza era poco più avanti di lui, e camminava nella stessa sua direzione. La riconobbe dai capelli e dal vestito, quindi accelerò il passo per raggiungerla, ma la ragazza sembrava sempre più veloce. Allora Edoardo gli gridò di fermarsi, ma lei si mise a correre, costringendo il povero professore a fare lo stesso; infine riuscì a raggiungerla e la afferrò ad una spalla perché si fermasse. Ci riuscì, ma quando la ragazza si voltò, non solo si avvide che non era lei, ma si trovò davanti il volto di una vecchia decrepita e rugosa, che gli procurò uno spavento terribile. Solo in quel momento Edoardo si svegliò, e si accorse che faticava a respirare. Fortunatamente per lui, la crisi respiratoria non durò molto. Avvertì però una sete tremenda, allora si alzò traballando, andò in cucina e si mise a bere due bicchieri d'acqua. Tornato a letto, dopo un quarto d'ora circa riuscì di nuovo ad addormentarsi: stavolta però, il suo sonno fu tranquillo fino al mattino.

VI.
Passarono appena due giorni, poi Edoardo ritornò per la terza volta a far visita al quartiere dove viveva la sua studentessa. Era un pomeriggio dal tempo incerto: nuvole sparse attraversavano il cielo coprendo spesso il sole; nel giorno precedente era caduta una fitta pioggia, e ciò aveva scoraggiato il professore, che altrimenti sarebbe uscito per compiere quella che per lui, ormai, era divenuta una missione imprescindibile: trovare la ragazza che gli aveva fatto perdere la testa. E allora Edoardo si vestì di nuovo a puntino, riprese il tram e arrivò alla fermata fatidica, dove aveva visto per l'ultima volta la ragazza, al di fuori dell'istituto scolastico. Camminò per quasi un'ora senza cavare un ragno dal buco cominciando a pensare che non l'avrebbe mai incontrata, quando, all'improvviso, se la vide davanti agli occhi. Lei era immobile, attonita, incredula e sconcertata, perché non si aspettava di vedere il suo professore di letteratura a due passi da casa. Lo guardava quasi atterrita, e non sapeva bene cosa fare o dire; ma Edoardo non indugiò, colse la palla al balzo e, per la prima volta, gli parlò dicendogli:
"Buona sera, mi sbaglio o lei è una mia studentessa?"
"Sì..." rispose la ragazza, ma poi s'interruppe per qualche secondo, come intimorita; quindi riprese a parlare: "Sì, studio lettere alla sua facoltà, professore, è vero".
E il professore allora continuò: "L'ho riconosciuta, lei è tra le studentesse più carine e più presenti alle mie lezioni. Senta, le va di prendere qualcosa al bar, così parliamo un po'?"
"Va bene professore, però non posso rimanere a lungo, perché alle cinque ho un impegno" rispose la ragazza.
"Non si preoccupi, per le cinque sarà libera di andare dove vuole. Venga, c'è un bar laggiù che ho già visitato e lo trovo eccellente" affermò il professore.
I due attraversarono la strada e raggiunsero un pubblico esercizio che si trovava a pochi metri dal punto del loro incontro. Entrati, scelsero uno dei tavolini che si trovavano sulla destra, vicino alla vetrina del locale; fecero le loro ordinazioni (il professore chiese un caffè e la ragazza una bevanda analcolica) e ricominciarono a parlare.
"Posso chiederle come si chiama?" disse il professore.
"Certo" rispose la ragazza, "mi chiamo Veronica Pagliarucci".
Il professore le chiese anche: "Abita lontano da qui?"
"No, piuttosto vicino" replicò Veronica.
Poi cominciarono a parlare di letteratura, e Veronica, su richiesta del professore, parlò dei suoi gusti e delle sue preferenze nell'ambito della materia studiata. Questa conversazione durò alcuni minuti, fino a quando il professore si decise a domandargli quella cosa che gli premeva di più da quando l'aveva vista per la prima volta, e le disse: "Senta, scusi se le sembro inopportuno e troppo curioso: per lungo tempo ho avuto l'impressione che lei, in aula, mi guardasse in un modo decisamente particolare, e che mi sorridesse... Era soltanto una mia errata impressione?"
Veronica rimase spiazzata dalla domanda del professore, e fu molto incerta nel rispondere, esibendo il suo grande imbarazzo: "No, cioè sì... voglio dire... forse è come dice lei..."
Quando vide che Veronica non diceva più nulla, il professore la incalzò: "Signorina, non è stata molto chiara: sì o no?"
E Veronica: "Probabilmente l'ho fatto, ma posso spiegargli qual è il motivo..."
"Me lo dica allora" aggiunse il professore.
"Poco fa le ho parlato delle mie preferenze in campo letterario, e, lei lo sa di sicuro, tra quegli scrittori che le accennavo, ce n'è uno che le somiglia molto, ed è anche il mio preferito".
Incredulo, il professore pensò che Veronica stesse inventando qualcosa per non ammettere la verità, quindi le disse: "Mi dimostri questa sua strampalata tesi allora, chi sarebbe questo fantomatico scrittore che mi somiglia così tanto?"
Veronica rimase piuttosto male nel sentire le ultime parole del professore, e allora rispose un po' contrariata: "Guardi che è vero..." poi, prese la sua borsetta, afferrò il portafogli, lo aprì e dal suo interno estrasse una foto. Era la foto di uno scrittore belga: Maurice Maeterlinck, vissuto tra la seconda metà del XIX secolo e la prima del XX. Questa foto ritraeva lo scrittore in età avanzata, e quando il professore la guardò, forse non si rese ben conto della straordinaria somiglianza - a parte i capelli tinti - tra lui e Maeterlinck anziano.
Insomma, Veronica lo guardava estasiato per via di quella somiglianza, non per altro; la sua passione per questo scrittore era talmente forte, che nel vedere il professore le pareva che fosse lui a parlare, come resuscitato e reincarnato nel professore. Forse era un pensiero un po' ingenuo, e stupido, ma autentico.
Il professore a questo punto si rese conto che le cose non stavano come le aveva immaginate, e andò su tutte le furie, rivolgendosi in malo modo alla ragazza: diede un colpo al braccio di Veronica che le porgeva la foto, dicendogli: "La metta via e non dica più sciocchezze! lei deve avere un cervello piccolissimo se fa dei ragionamenti del genere, mi meraviglia e mi delude!"
Veronica abbassò gli occhi riponendo la sua foto, ed ebbe una terribile voglia di fuggire, quando il professore ricominciò a parlarle, e con voce sostenuta disse: "Ora se ne vada, pagherò io il conto, se ne vada!"
Quest'ultima intimazione del professore fece sì che Veronica velocemente si alzasse e uscisse; appena fuori scoppiò in un pianto dirotto, chiedendosi il perché di quel trattamento ingiusto del professore nei suoi confronti.
Intanto Edoardo era sempre più imbufalito e, nello stesso tempo, affranto. Era finito tutto, la ragazza non era mai stata innamorata di lui, e soltanto una stupida somiglianza l'aveva portata a guardarlo in quel modo...
Il povero professore si alzò quasi a fatica, lasciò i soldi del conto sul tavolo e uscì. Mentre, coi suoi tetri pensieri si dirigeva verso la fermata del tram per tornare a casa, avvertì di nuovo un dolore al petto, molto più forte di quello che lo aveva colto qualche giorno prima. Continuò a camminare sperando che si attenuasse, ma il dolore pareva aumentare; quindi, all'improvviso gli si annebbiò la vista e cadde a testa in giù sull'asfalto. I passanti gli diedero immediatamente i primi soccorsi, qualcuno chiamò un'ambulanza che arrivò in dieci minuti circa. I medici fecero di tutto per tenerlo in vita, malgrado le gravissime condizioni in cui versava; ci riuscirono, quindi in fretta lo caricarono nell'ambulanza e partirono verso l'ospedale più vicino. Quando Edoardo arrivò all'ospedale era ancora in vita, ma, malgrado gli ulteriori e generosi tentativi dei medici per salvargli la vita, un'ora dopo il suo cuore cessò di battere.

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