Il fantoccio

Tina era ormai vedova da quasi dieci anni. Aveva certamente superato il momento difficilissimo che visse subito dopo la morte del marito; la solitudine, che appariva insuperabile allora, era divenuta tollerabile, malgrado non si fosse completamente abituata alla nuova, triste situazione permanente che era praticamente costretta a vivere. D'altronde, non aveva provato nemmeno una volta a cercare una nuova compagnia; neppure lontanamente pensava all'amore, che per lei era sempre rappresentato dal marito defunto. Tina viveva in condizioni economiche discrete, sia grazie alla pensione del marito, sia per le entrate che gli arrivavano grazie all'affitto di una delle stanze della sua casa; quest'ultima era piuttosto spaziosa: c'erano tre piani più un interrato; la donna aveva deciso di affittare l'ultimo piano, formato da una camera, un bagno, un ripostiglio ed una terrazza; tutto era a disposizione dell'affittuario, ad esclusione del ripostiglio. La sua idea, nata per arrotondare gli introiti mensili che, senza questo stratagemma, potevano definirsi magri, ebbe successo: per anni si susseguirono i clienti che risiederono in quell'ultimo piano; in maggioranza erano uomini, che cercavano una sistemazione temporanea - settimane o mesi - per motivi di lavoro. Quasi tutte queste persone erano tranquille, e quindi non diedero particolari preoccupazioni alla donna, che si dava da fare affinché tutti fossero soddisfatti della loro scelta. Ci fu qualcuno che si dileguò improvvisamente, senza pagare, ma Tina, pur arrabbiandosi un po', non si meravigliò più di tanto, e continuò fiduciosa ad affittare quella parte della sua casa.

Un giorno di fine ottobre, il campanello della casa di Tina suonò; la donna chiese chi fosse al citofono, e gli fu risposto:

- Mi chiamo Piero, e vorrei, se possibile, prendere in affitto la camera della sua casa.

La donna lo accolse, e subito i due cominciarono ad accordarsi per il prezzo da pagare e per il periodo in cui l'ospite sarebbe rimasto lì con lei. Tina si accorse subito dell'estrema gentilezza dell'uomo, e quindi ne ebbe un'ottima impressione; fu felice di affittare la camera a Piero, che gli appariva, a pensarci, la persona più bella che avesse mai avuto in casa.

Piero era assai discreto e di poche parole; parlava con la donna soltanto in rare occasioni. Durante i giorni feriali, sostava poche ore nella stanza presa in affitto; soltanto la domenica, giorno in cui non lavorava, vi dimorava per l'intera giornata. Il settimo giorno della settimana divenne quello in cui Tina e Piero poterono approfondire le rispettive conoscenze, ma fino ad un certo punto; se è vero che la donna mostrava una sincera intenzione di fare amicizia con Piero, costui rimaneva spesso sulle sue; quando infatti la donna faceva delle domande che lui riteneva un po' troppo personali, cercava di cambiare discorso, e comunque non rispondeva mai in modo esauriente.

Dopo tre settimane, Tina si accorse di provare, nei confronti di Piero, qualcosa che era di più rispetto ad un sentimento di amicizia; pensò, addirittura, di essersi innamorata di quell'uomo così gentile e così misterioso. Arrivò a immaginare di aver trovato la persona che poteva sostituire il ruolo del marito defunto, fantasticando sulle possibilità che ci sarebbero potute essere, di vivere per il resto della loro vita insieme.

Piero, a sua volta, capì che Tina provava qualcosa per lui, che andava oltre l'amicizia; se ne accorse dal modo in cui lo guardava, da come gli parlava, e dall'entusiasmo che mostrava ogniqualvolta poteva trascorrere un lungo periodo di tempo insieme a lui. Ma l'uomo era preoccupato da tale, nuova situazione interpersonale che si era venuta a creare. Però cercò di non farlo mai capire alla donna, mostrandosi sempre cordiale, gentile e ciarliero con lei, in ogni circostanza.

Trascorsero altre due settimane, e il contratto d'affitto era ormai in scadenza. Tina, ovviamente, aveva intenzione di rinnovarlo e ne aveva già parlato con Piero, che, pur avendo espresso qualche incertezza, si era dimostrato possibilista al riguardo.

Il mattino della domenica seguente, verso le ore otto, Tina dapprima bussò alla porta della stanza di Piero, quindi, non avendo sentito alcuna voce, entrò chiedendo permesso. Vide la parte posteriore della sua testa nel letto (il resto del corpo era sotto le coperte), e allora lo chiamò per nome più di una volta, alzando sempre di più la voce perché lui la potesse finalmente sentire. Si preoccupò, poiché quel corpo non dava alcun segno di vita... Si avvicinò e con una mano lo scosse, continuandolo a chiamare con voce sostenuta: nulla accadde. Fu allora che la signora, allontanatasi, lanciò un urlo fortissimo di terrore, pensando che l'uomo fosse morto. Poi, però, lo guardò più attentamente e si rese conto che nel letto non c'era lui. Si avvicinò di nuovo e tirò indietro le coperte: nel letto c'era un fantoccio.  Esterrefatta, ebbe l'immediata impressione che Piero non sarebbe mai più tornato, e scoppiò a piangere ininterrottamente per molto tempo, seduta sulla sponda del letto, con le mani sul volto. Quindi si riprese, e subito si accorse che l'uomo aveva lasciato dei soldi sul comodino; li contò: era l'esatto importo, corrispettivo alla sua permanenza nella casa. Pensò tra sé e sé:

-  Almeno in questo si è dimostrato onesto.  

Che fine aveva fatto quell'uomo che conosceva, che stimava e forse amava, con cui avrebbe trascorso volentieri il resto della sua vita? Da allora, di lui non seppe più nulla, malgrado i tentativi che fece per rintracciarlo - pur non avendo degli indizi sicuri da cui partire per effettuare delle ricerche - .

La signora, triste e sola, riprese la sua solita vita e tenne con sé il fantoccio, con cui continuò a parlare, come se quell'oggetto fosse un essere umano. I nuovi affittuari, che la sentivano parlare, sapevano che in casa non c'era nessun'altro, e pensavano quindi che la donna fosse un po' svanita.

Tutte le sere, seduta sulla poltrona, Tina discorreva per ore con quella sagoma, nella gelida e raccapricciante penombra della sala da pranzo; spesso confidava a lui i suoi segreti, e con voce calda confessava il suo amore (che però non era contraccambiato, poiché un fantoccio non può amare).


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